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Se un giorno di primavera, un pomeriggio a Bologna, con Elisabetta Bovina e Carlo Pastore.

“Un uomo che lavora con le sue mani è un operaio;
un uomo che lavora con le sue mani e il suo cervello è un artigiano;
ma un uomo che lavora con le sue mani, il suo cervello e il suo cuore è un artista.”
San Francesco D’Assisi

Ogni storia ha un suo incipit, il suo evento scatenante, il motore che mette in moto tutto. Ecco, quando pensiamo a Elisabetta Bovina e Carlo Pastore, ci viene in mente una parola che raccoglie la loro essenza e ne descrive il rapporto: contaminazione.
Da sempre, nella loro vita artistica, Elisabetta e Carlo si contaminano e hanno scelto di intraprendere un percorso che gli ha permesso di intrecciare arti diverse fra di loro.
Hanno sempre avuto una costante: la volontà di raccontare storie attraverso i materiali.
Quando qualcuno gli chiede come si definiscano loro rispondono che odiano le definizioni, ma che se devono sceglierne una ecco, allora amano dire: “Siamo degli anfibi – un termine usato per descriverci da Enzo Biffi-Gentili – perché come le rane passiamo da elementi diversi con molta facilità ma sempre in funzione del progetto.”
Alla base delle loro opere c’è la parte teorica, la parte più copiosa del lavoro, ma anche la più stimolante. Quando Elisabetta parla di parte teorica infatti allude agli scambi che avvengono ogni giorno nella loro bottega, nei loro dialoghi sul cinema, sul teatro, sulla musica; nei loro dialoghi. Perché è in questi dialoghi che si nasconde la genesi delle opere di Elica Studio.
Elisabetta, impulsiva e passionale di natura, ritiene che tatto e olfatto siano i suoi sensi dominanti. É a lei che è destinato il compito di tirare fuori le idee dalla materia informe mentre Carlo, da sempre, è la mano che decora le loro opere, colui che riesce a trasferire tutto ciò che pensa al pennello guidato dalla sua mano. Le mani, nel laboratorio di Elica Studio, sono elemento imprescindibile della creazione, mani e vestiti striati dalle linee bianche della porcellana, una bottega in cui ci si sporca le mani, miscelando e colando, cuocendo e dipingendo, sollevando e infornando.
È interessante fermarsi a riflettere su quanto le loro idee debbano passare attraverso le loro mani, su quanto queste mani siano le artefici delle opere, su quanto in tutto questo processo forza ed energia creativa siano le protagoniste indiscusse, indispensabili, perché è nel movimento delle mani stesse che Elisabetta e Carlo riescono a liberare, a generare la catarsi, il passaggio.
Nei dialoghi in laboratorio si nasconde anche una grandissima fortuna: un elogio della preziosità del tempo, perché in un mondo basato sulla massimizzazione della produzione e dell’ottimizzazione del tempo, qui si ha la possibilità di scegliere di impegnare il tempo discutendo. Nel loro lavoro, un lavoro che li assorbe 24 ore su 24, Elisabetta e Carlo, ci vedono una magnifica ossessione, il primo pensiero al mattino e l’ultimo alla sera.
Quando si parla di amore per l’arte con Elisabetta, lei cita Galimberti. Istintiva per indole crede che l’arte sia istinto e collega l’arte alla bellezza. È a questo proposito che fa capolino Umberto Galimberti che sostiene che la bellezza sia qualcosa che ti colpisce, che si cela nella parte nascosta o non definita che inconsciamente ti attira. Ecco che l’arte potrebbe riproporre un gioco con le stesse regole e in questo senso sarebbe proprio l’istinto il protagonista che ci spinge a voler collezionare ciò che non riusciamo a cogliere totalmente. Collezionista, mercante, artista e curatore di arte contemporanea sarebbero tutti collegati dallo stesso filo rosso, dallo stesso bisogno primario. Quanto a Elica Studio e alla loro opinione sul collezionare, ecco che per loro, offrire una loro opera e saperla a casa di una persona significa essersi inventati una storia, averla raccontata e sapere che c’è qualcuno che ha condiviso con loro questa storia al punto da aver deciso di conservarne l’esito formale nella propria casa, nel proprio spazio.
E riprendendo il nostro incipit iniziale, nelle aspirazioni di Elisabetta da ragazza, c’era il desiderio di laurearsi in lingue; la lingua che aveva scelto – negli anni 80 – era il russo e questo ci racconta bene la sua determinazione. Ma per una serie di coincidenze è arrivata a Terni, a fare “il garzone di bottega”. Da lì c’è stato un altro punto di svolta, l’ISIA di Faenza (Istituto Superiore Industrie Artistiche), il luogo in cui Elisabetta e Carlo si sono incontrati. È nel ’89 che hanno iniziato a lavorare insieme e nel ’93 è nata Elica Studio, che quest’anno compie trent’anni.
E nel vederli insieme oggi, Carlo ed Elisabetta, nel vedere quanta strada abbiano percorso in questi trent’anni e quante storie da raccontare ancora li attendono, ecco che emerge l’aspetto più bello di questo duo artistico: un sodalizio irrinunciabile, senza alcun tipo di competizione, un rapporto artistico in cui entrambi hanno sempre bisogno dell’occhio dell’altro per capire se si sia sulla giusta strada.

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